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Immagine del redattoreNicoletta De Col

La “risoluzione” del lutto: dalla mente al cuore

Prima o poi ognuno di noi conosce il sig. Lutto.

Inizio col dire che finché si cercheranno spiegazioni razionali non troveremo pace, che evitando di percepire le emozioni, non troveremo serenità, che la mente non offre soluzioni, che sentire le proprie emozioni porterà a una strada difficile, ma piena di consapevolezza, comprensione di se stessi. Non avremo tutte le risposte, ma troveremo nuove domande: spesso il problema della mente è che costruisce domande sbagliate per il luogo e il momento in cui ci troviamo.

Quindi, il dolore della perdita, la disperazione e la paura di non farcela, la tristezza, un nodo in gola che non se ne va, un vuoto profondo. Poi ci sono anche altre sensazioni, meno accettate, meno ”convenzionali”, ma che sono altrettanto vere: il sollievo di non vedere più soffrire la persona cara, il sollievo di non doversene più occupare, l’opportunità di sviluppare alcune parti di se stessi, l’opportunità di diventare “grandi” e “responsabili”.

Nella nostra società definita civilizzata, togliendo le tradizioni considerate “selvagge”, la morte è stata tolta dalla vista, è stata combattuta, facendo dimenticare che è inevitabile, ma soprattutto NECESSARIA: la morte fa spazio! Fa spazio a nuova vita. Ogni giorno muoiono migliaia di cellule del nostro corpo affinchè sia più efficiente, in natura tutto è ciclico.

Cercando di ricordarci che la morte è necessaria, c’è un altro passaggio da fare: accettare che non abbiamo controllo sulla vita (lo abbiamo sulle nostre reazioni e azioni), e che prenderla sul personale per qualsiasi cosa ci capiti è da bambini, ovvero credere che su 8 miliardi di persone e in un pianeta in mezzo a miliardi di galassie noi siamo bersagliati dalla vita... è un pensiero molto egoistico.

La vita comprende nascita e morte, luce e ombre, gioia e tristezza... la vita comprende gli opposti e quindi la ciclicità. Se iniziamo ad accettare che la vita è questa, che non se la prende con noi, siamo già un passo più in là per arrivare a percepire quello che sentiamo, invece di rimanere INCASTRATI NELLE TRAPPOLE MENTALI: chiederci il “perchè è successo a me?”, “perché proprio ora?”, incolparsi o chiedersi “cosa sarebbe successo se”...

Fermiamo la mente, lasciamo che parli e non ascoltiamola più.

Portiamo la nostra attenzione su quel dolore da cui stiamo scappando (perché è a questo che ci siamo abituati a fare: pastiglie, relazioni superficiali ...), sentiamo cosa ci spaventa, cerchiamo di non giudicarci e non assolverci, sentiamo cosa ci rattrista, cosa ci impedisce di credere di non potercela fare, cosa ci impedisce di diventare adulti responsabili della nostra vita, cosa ci fa credere di non poter essere felici lo stesso.

La morte ci fa ricordare che non abbiamo la vita sotto controllo, questa potrebbe essere una nostra paura.

La morte di qualcuno di ricorda che abbiamo bisogno di imparare a fare affidamento su noi stessi e non solo sugli altri, di imparare a sviluppare le nostre capacità.

La morte di qualcuno fa spazio alla nostra vita: dovremmo sentire l’onore nel ricevere questo spazio, è che insorgono i dubbi nel non aver dato abbastanza valore alla nostra vita.

spesso le persona mi dicono che continuano a rimuginare sugli ultimi momenti di vita della persona cara perché hanno paura dimenticarla, non rendendosi conto che così ricorderanno solo una parte di quella persona, in modo distorto, e infliggendosi un dolore che non porta a nulla. Questo è un bisogno della mente: la mente vuole avere tutto sotto controllo, vuole avere le immagini da recuperare in caso di bisogno. Ma se ritorniamo a un piano fisiologico e naturale, ci possiamo permettere di accedere alle capacità millenarie: il ricordo attraverso le sensazioni. Noi impariamo soprattutto attraverso le emozioni e le sensazioni: impariamo che il forno scotta ed è pericoloso non perché ce lo hanno detto (e tanto meno ricordiamo l’episodio in cui ci hanno spiegato a parole i pericoli). Per cui lasciamo che il ricordo della persona non stia nel saper contare le rughe del suo volto (che inoltre rappresenterebbero in minima parte quella persona cara e per un tempo della sua vita relativo), ma in quello che ci ha trasmesso con la sua presenza nella nostra vita, nel bene e nel male. Così porteremo quella persona nelle nostre azioni quotidiane, che sia nel voler essere diverso o nel trasformare in altro gli insegnamenti dati, così potremo vivere la nostra vita e non della persona deceduta, così potremo essere liberati e sereni.






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Dott.ssa Nicoletta De Col

Psicologa Sociale, massoterapista, Chinesiologa














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