“Ma come fai con tutto quello che ti si vomita addosso?”
Mi è stato chiesto in più di un’occasione, con ancora le lacrime al viso, dopo un’ora di pianto. Mi hanno chiesto come faccio a vedere tanta sofferenza, qualcuno dicendo che forse lo uso come atto consolatorio per pensare che la mia vita sia migliore.
Resto stupita a mia volta a notare come le persone non notino lo splendore che vedo io nei loro cuori, coperti e confusi dalla sofferenza che portano ancora addosso. Vorrei che l’essere umano notasse l’abbondanza che ci circonda, ma capisco che non può farlo finché sente il suo cuore pieno di rabbia, rancore, solitudine, tristezza, abbandono... tutti quei sentimenti accumulati dal primo giorno sulla terra.
E siamo noi a non lasciare la sofferenza, non è la sofferenza a rimanere con noi... noi la teniamo stretta come una coperta di Linus, perché la conosciamo perché comunque ci “appartiene”, in qualche modo, ci convinciamo che fa parte di noi.
Invece, possiamo lasciarla, assieme alle figure in cui ci identifichiamo, dicendo “perche io sono timido”, o “perché io sono sempre stata testarda”; è proprio lasciando queste convinzioni che potremo liberarci dalla sofferenza, e possiamo anche liberarci dalle illusioni create dalle aspettative; per esempio, “ho sempre creduto che avrei avuto tanti figli...”.
È difficile quando siamo convinti che nessuno ci possa capire, è complicato quando crediamo che nessuno possa sentire la stretta in gola o il crepitio del nostro cuore frammentato. Non serve a nulla dire “c‘è chi sta peggio”, perché facciamo paragoni inutili, dal momento che ognuno è diverso e ogni situazione è differente. Quel che certo è che tutti conosciamo la sofferenza e se vogliamo che questa sparisca dobbiamo iniziare con il lavorare seriamente per togliere la nostra, affinché le luci nei nostri cuori si diffonda.
Nicoletta De Col www.nicolettadecol.com
Comments