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Immagine del redattoreNicoletta De Col

Attacchi di panico: l’ultimatum per una ricerca di ascolto

Sembra un momento come gli altri, una giornata come tante, ma all’improvviso una sensazione strana, un malessere, la gola si stringe, il respiro accelera, il battito del cuore diventa veloce e intenso, attorno a noi tutto diventa ovattato, fastidioso, ostile, ci sentiamo male e a volte ci sembra di morire... e ci spaventa ulteriormente scoprire che una parte di noi vorrebbe morire davvero, lasciarsi andare, così tutta questa attanagliante sofferenza sarebbe finita.

Ecco a noi l’attacco di panico!

Ci hano dato molti consigli su come gestirlo, controllarlo, affrontarlo, magari ci siamo chiesti il perché, e spesso non troviamo spiegazione per alcuni episodi. Raramente viene chiesto “cosa sto ignorando di me stessa/o?”, “come sto vivendo con me stesso/a?”.

Immaginiamo un bambino che passeggia nel bosco con noi, si iniziano a sentire versi di animali sconosciuti, il bambino si spaventa e ci cerca per prenderci la mano, ma noi non gliela diamo. Allora parlando sotto voce ci chiede se sono pericolosi, ma noi non rispondiamo. Lui inizia a piangere e noi lo ignoriamo. Si aggrappa alle nostre gambe e gli rispondiamo che ci intralcia, che bisogna andare avanti ad ogni costo, che la smetta! Il bambino rimane con la sua paura, va in panico perché si trova in un ambiente pericoloso e con un adulto che non lo capisce e non lo protegge. Il bambino si sente morire e urla, più l’adulto lo ignora più urla, più il bambino urla più l’adulto lo ignora.

Questo è quello che succede dentro di noi: ignoriamo una parte di noi stessi che sta urlando, non l’ascoltiamo, anzi la vogliamo soffocare e controllare.

Potremmo dire che l’attacco di panico, l’agitazione incontrollata, arrivi proprio dalla mancanza di ascolto di una parte di noi, che da troppo tempo sta cercando di comunicarci qualcosa. Probabilmente la ignoriamo perché ci fa mettere in contatto con una nostra sofferenza profonda... ricordo la trasformazione del viso alle persone quando chiedo: “se in questa stanza ci fosse la bambina che sei stata, cosa le diresti?”

Si percepisce la sofferenza, quel peso di un dialogo spezzato tra sé adulti e sé bambini.

Il panico arriva perché vogliamo avere tutto sotto controllo e non tolleriamo la presenza di questo dolore che ci destabilizza.

Non risolveremo il panico e la depressione (spesso compresenti in un periodo di vita) finché non riprenderemo il dialogo con noi stessi. Pensare alle cose belle e respirare durante un attacco sarà solo mettere una pezza, dopo 5 o 10 anni potrebbe ripresentarsi un periodo ancora più intenso, credendo che sia “normale” avere una ricaduta più forte. In realtà, potremo avere delle “ricadute” ma se lavoriamo sul dialogo interiore potranno essere piu lievi, dal momento che avremo piu strumenti a nostra disposizione per attraversale.


Più cercheremo di diventare razionali, ignorare le emozioni, voler controllare tutto, voler che tutto resti sempre uguale, più i nostri attacchi di panico si accentueranno.

Ricordiamoci che non tutti i dialoghi interiori sono possibili da soli, ma è necessario l’aiuto di qualcuno per tornare in contatto con parti di noi. In ogni caso, l’importante è voler iniziare a trovare quali parti di noi stiamo cercando di sotterrare e ignorare per non soffrire alla loro vista. Evitando un tipo di sofferenza ne creiamo un’altra, con la differenza che attraversare il dolore per unire le parti di noi stessi ci arricchirà, mentre ignorare ci porterà allo smarrimento.



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dott.ssa Nicoletta De Col

Approccio Massoterapico e Osteopatico integrati alla psiche

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